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Diritto penale

Reato fuori dall`orario di lavoro: legittimo il licenziamento

Reato fuori dall`orario di lavoro: legittimo il licenziamento

Analisi della recente ordinanza della Cassazione e degli orientamenti giurisprudenziali in materia

La recente ordinanza n. 24100 del 28 agosto 2025 della Cassazione civile, Sezione Lavoro, rappresenta un tassello fondamentale nell'evoluzione giurisprudenziale relativa al licenziamento disciplinare per condotte extralavorative penalmente rilevanti.

La pronuncia, che ha destato particolare attenzione negli ambienti forensi e aziendali, conferma un orientamento ormai consolidato della Suprema Corte, secondo cui anche i reati commessi al di fuori dell'orario e del luogo di lavoro possono legittimare il recesso datoriale per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Il caso concreto: tra tempestività e proporzionalità

La vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione riguardava un dipendente della St Microelectronics S.r.l., licenziato il 7 novembre 2016 per aver "riportato una condanna ad una pena detentiva con sentenza passata in giudicato per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, che ha leso la Sua figura morale". Il lavoratore era stato condannato a otto mesi di reclusione per oltraggio alle forze di polizia di stato e istigazione a commettere delitti di resistenza e delitti contro la persona, nonché per aver offeso l'onore e il prestigio di un pubblico ufficiale.

La Corte territoriale aveva ritenuto legittimo il licenziamento, evidenziando come "i reati commessi dal lavoratore non sono conformi ai valori dell'ordinamento e sono di natura tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del rapporto". Particolarmente significative erano le modalità concrete dei fatti, caratterizzate da "frasi gravemente ingiuriose" e "frasi che istigavano alla violenza", tra cui espressioni quali "sbirri a morte" e "meglio mille sbirri uccisi che un ultras diffidato", pronunciate nel contesto delle tifoserie calcistiche.

La questione della tempestività: un principio consolidato

Uno degli aspetti più rilevanti della pronuncia riguarda la questione della tempestività della contestazione disciplinare. La Cassazione ha chiarito che "il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi". Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva avuto conoscenza dei fatti penalmente rilevanti già nel febbraio 2010, ma aveva prudentemente sospeso ogni valutazione disciplinare in attesa dell'esito definitivo del procedimento penale.

La Suprema Corte ha precisato che "quando il fatto che dà luogo a sanzione disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio della immediatezza della contestazione non può considerarsi violato dal datore di lavoro il quale, avendo scelto ai fini di un corretto accertamento del fatto di attendere l'esito degli accertamenti svolti in sede penale, contesti l'addebito solo quando i fatti a carico del lavoratore gli appaiano ragionevolmente sussistenti". Tale orientamento trova fondamento nella considerazione che "il prudente indugio del datore di lavoro, ossia la ponderata e responsabile valutazione dei fatti, può e deve precedere la contestazione anche nell'interesse del prestatore di lavoro".

L'evoluzione giurisprudenziale: da eccezione a regola

L'analisi della giurisprudenza più recente rivela un'evoluzione significativa nell'approccio della Cassazione alle condotte extralavorative penalmente rilevanti. Se in passato la rilevanza disciplinare di tali comportamenti costituiva un'eccezione, oggi rappresenta una regola consolidata, purché sussistano specifici presupposti.

La sentenza n. 31866 dell'11 dicembre 2024 ha ribadito che "la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso".

Analogamente, la ordinanza n. 10612 del 23 aprile 2025 ha confermato che "i fatti extralavorativi assumono rilevanza disciplinare quando rivestono un forte allarme sociale per l'oggettiva gravità della condotta e l'intensità del dolo", specificando che tale valutazione deve essere condotta caso per caso, considerando le concrete modalità di manifestazione del comportamento illecito.

I parametri di valutazione: oltre la mera sussistenza del reato

La giurisprudenza di legittimità ha elaborato criteri specifici per valutare quando una condotta extralavorativa possa legittimare il licenziamento disciplinare. Non è sufficiente la mera sussistenza di una condanna penale, ma occorre una valutazione complessiva che tenga conto di molteplici fattori.

La ordinanza n. 7793 del 24 marzo 2025 ha precisato che la condanna penale definitiva non determina un automatismo ai fini dell'integrazione della giusta causa, dovendo il giudice valutare la concreta incidenza del fatto sulla lesione del vincolo fiduciario, considerando elementi quali la natura e gravità del fatto commesso, il tipo di mansioni svolte dal lavoratore, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni, il potenziale pregiudizio per l'immagine aziendale e il comportamento tenuto dal lavoratore successivamente al fatto.

Particolarmente significativa è la sentenza del Tribunale di Asti n. 271 del 4 giugno 2025, che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore condannato per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, evidenziando come "la condotta illecita extralavorativa assume rilievo disciplinare quando, per gravità e modalità concrete di manifestazione, compromette irrimediabilmente la fiducia datoriale nel corretto espletamento del rapporto, denotando scarsa inclinazione al rispetto degli obblighi di diligenza, buona fede e correttezza".

Le tipologie di reato: dalla violenza allo spaccio

L'analisi della casistica giurisprudenziale rivela come diverse tipologie di reato possano assumere rilevanza disciplinare. I reati contro la persona, in particolare quelli caratterizzati da violenza, rappresentano una categoria particolarmente significativa. La sentenza della Corte d'Appello di Torino n. 226 del 24 aprile 2025 ha confermato il licenziamento di un lavoratore che aveva reagito violentemente agli ordini del superiore gerarchico, precisando che "il comportamento del lavoratore che reagisce in modo violento agli ordini legittimi del superiore gerarchico mediante spintoni, rifiutandosi contestualmente di eseguire le mansioni assegnate, integra una condotta di gravità tale da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro".

Altrettanto rilevanti sono i reati in materia di stupefacenti. La sentenza del Tribunale di Napoli n. 2436 del 30 marzo 2025 ha stabilito che "l'attività di spaccio di sostanze stupefacenti posta in essere dal lavoratore in ambito extralavorativo costituisce giusta causa di licenziamento quando la condotta, per la sua gravità oggettiva e soggettiva, determina la lesione irreversibile del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, anche in assenza di sentenza penale definitiva".

Analogamente, la sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 706 del 1° luglio 2025 ha evidenziato come "i reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, specie quando riguardino quantitativi significativi come l'offerta di vendita di un chilogrammo di hashish o la cessione di un chilogrammo di marijuana, presuppongono un inevitabile contatto con ambienti criminali e comportano un danno all'immagine aziendale".

Il rapporto con il procedimento penale: autonomia di valutazione

Un aspetto di particolare rilevanza riguarda il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale. La giurisprudenza ha chiarito che la valutazione della sussistenza della giusta causa ha carattere autonomo rispetto al giudizio penale. Come precisato dalla sentenza del Tribunale di Napoli, "il principio di non colpevolezza sancito dall'articolo 27, comma 2, della Costituzione, concernendo le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato, non si applica all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine a comportamenti del lavoratore che integrino estremi di reato".

Questa autonomia di valutazione consente al datore di lavoro di procedere al licenziamento anche in assenza di una sentenza penale definitiva, purché i fatti siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità del rapporto. Tuttavia, come evidenziato dalla sentenza n. 24100/2025, quando il contratto collettivo prevede specificamente la sanzione disciplinare per condanna passata in giudicato, il datore di lavoro può legittimamente attendere l'esito definitivo del procedimento penale senza che ciò comporti violazione del principio di tempestività.

Le mansioni svolte: un elemento di valutazione cruciale

La natura delle mansioni svolte dal lavoratore rappresenta un elemento di valutazione fondamentale nella determinazione della rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative. La giurisprudenza ha evidenziato come mansioni che comportano particolare visibilità esterna, contatto con il pubblico o responsabilità specifiche possano rendere più rilevanti comportamenti che, per altri lavoratori, potrebbero non assumere la stessa gravità.

La sentenza n. 31866/2024 ha precisato che "una condanna penale definitiva per reati caratterizzati da violenza, sopraffazione fisica e psichica e mancato rispetto della dignità altrui, specie se connotati da abitualità e non da mera occasionalità, può giustificare il licenziamento del lavoratore addetto a mansioni che comportano il costante contatto con il pubblico e richiedono particolare autocontrollo, come nel caso del conducente di autobus incaricato di pubblico servizio".

I social network: nuove frontiere della responsabilità disciplinare

L'evoluzione tecnologica ha introdotto nuove problematiche relative alla rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative. La sentenza del Tribunale di Bergamo n. 468 del 6 agosto 2025 ha affrontato la questione dell'utilizzo improprio dei social network, precisando che "assume rilevanza disciplinare, quale condotta extra-lavorativa, l'utilizzo improprio dei social network che deve essere esaminato caso per caso al fine di calibrare la risposta sanzionatoria del datore di lavoro che può spingersi fino al licenziamento per giusta causa".

La pronuncia ha chiarito che "la pubblicazione su social network di post contenenti espressioni volgari e offensive nei confronti del datore di lavoro e dei suoi amministratori, anche se effettuata su profilo personale, integra violazione del vincolo fiduciario quando le espressioni travalicano i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica, risultando sconvenienti e lesive dell'immagine aziendale presso una platea indifferenziata di destinatari".

La proporzionalità della sanzione: un vaglio necessario

Nonostante la consolidata rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative, la giurisprudenza mantiene fermo il principio della proporzionalità della sanzione. La sentenza del Tribunale di Torino n. 1230 del 15 maggio 2025 ha evidenziato come "quando le violazioni contestate al lavoratore risultano sussistenti e giuridicamente rilevanti, ma la sanzione espulsiva applicata non appare proporzionata alla gravità del fatto, che integra una forma di insubordinazione non accompagnata da comportamento oltraggioso, il licenziamento deve ritenersi illegittimo per difetto di proporzionalità".

Verso un nuovo equilibrio

L'analisi della giurisprudenza più recente, culminata con l'ordinanza n. 24100/2025, rivela un orientamento ormai consolidato della Cassazione verso il riconoscimento della rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative penalmente rilevanti. Questo orientamento si fonda su una concezione evoluta del rapporto di lavoro, che non si limita alla mera prestazione lavorativa ma comprende un complesso di obblighi accessori derivanti dai principi di correttezza e buona fede.

La giurisprudenza ha saputo elaborare criteri di valutazione equilibrati, che tengono conto sia della necessità di tutelare il rapporto fiduciario sia del rispetto dei diritti fondamentali del lavoratore. Il principio di proporzionalità rimane il faro guida per evitare automatismi e garantire una valutazione caso per caso delle singole fattispecie.

L'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia testimonia la capacità del diritto del lavoro di adattarsi ai mutamenti sociali e tecnologici, mantenendo fermo l'equilibrio tra le esigenze datoriali e la tutela del lavoratore. La sentenza n. 24100/2025 rappresenta, in questo contesto, un ulteriore tassello di un mosaico giurisprudenziale che continua a evolversi, offrendo agli operatori del diritto strumenti sempre più raffinati per la risoluzione delle controversie in materia di licenziamento disciplinare.

La prassi applicativa dovrà necessariamente tenere conto di questi orientamenti, privilegiando approcci valutativi che considerino la complessità delle situazioni concrete e la necessità di bilanciare adeguatamente tutti gli interessi in gioco. Solo attraverso questa metodologia sarà possibile garantire quella certezza del diritto che costituisce presupposto indispensabile per un corretto funzionamento del mercato del lavoro e per la tutela dei diritti di tutte le parti coinvolte nel rapporto lavorativo.

Erik Stefano Carlo Bodda è avvocato del Foro di Torino e cassazionista. Titolare dello studio BODDA & Partners con sedi in Italia e all'estero ha pubblicato numerosi contributi nel settore legale

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